Parlando di Smart Working capita di osservare sguardi interrogativi e perplessi nell’interlocutore o di associarlo a tutta una serie di luoghi comuni che altro non fanno che generare confusione.
Lo Smart Working non è lavorare da casa. O meglio lavorare da casa (home working) o più in generale da remoto (remote working) è solo l’ultima parte di un processo molto più ampio.
Non è neppure l’evoluzione del telelavoro né il lavoro del singolo professionista freelance che, da sempre, è abituato a lavorare in mobilità, con orari flessibili e utilizzando software e applicazioni che gli consentono di svolgere la professione in maniera “nomade”.
Ma allora cos’è questo Smart Working?
Riporto qui di seguito una definizione elaborata da Andrea Solimene (Project Manager, Strategy & Marketing Advisor. Esperto personal branding e smart working) e riportata sul portale spremute digitali.com che a mio avviso sintetizza al meglio questa filosofia.
“Lo Smart Working è un nuovo approccio al nostro modo di lavorare e collaborare all’interno di un’organizzazione in cui alla base ci sono quattro elementi chiave:
- la dimensione aziendale;
- la revisione della leadership e del rapporto tra manager e dipendente (da controllo a fiducia);
- il ricorso a tecnologie collaborative in sostituzione ai sistemi di comunicazione rigidi;
- la riorganizzazione del layout e degli spazi di lavoro che vanno oltre le 4 mura di un ufficio.
Questo nuovo approccio pone al centro dell’organizzazione la persona, facendo convergere gli obiettivi personali e professionali con quelli aziendali, in un unico modus operandi che garantisce una maggiore produttività aziendale. Pertanto si cerca di responsabilizzare il singolo lavoratore, renderlo proprietario del proprio lavoro, consapevole dei risultati da raggiungere, cosciente del lavoro in team e autonomo nel definire le modalità e le tempistiche di svolgimento delle attività.
Ciò significa, naturalmente, ripensare l’intera organizzazione e avviare un processo di cambiamento finalizzato a valorizzare il singolo lavoratore, aumentare il suo commitment nel raggiungimento degli obiettivi aziendali e garantirgli le condizioni giuste per coniugare vita professionale e vita personale (worklife balance).
In questo modo il lavoratore è soddisfatto dell’attività che svolge e del posto di lavoro oltre che ingaggiato e motivato a raggiungere gli obiettivi aziendali.
Insomma…la ricetta per la produttività. Questo comporta rivedere gli spazi e renderli più “vivibili”, dare l’opportunità di lavorare al di fuori dell’ufficio, garantire device portatili, tecnologie digitali e software collaborativi, snellire e adattare i processi (tra cui fondamentali quelli di recruiting e talent management) e tanto altro ancora.”
L’importanza del Lavoro Agile è tale da essere finalmente diventato legge anche in Italia. All’interno della Legge n°81 del 22 maggio 2017 viene definito come “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa”. La norma disciplina alcuni aspetti legati all’adozione del Lavoro Agile come il principio di volontarietà, la necessità di un accordo scritto concordato tra datore di lavoro e lavoratore, la parità di trattamento economico, gli aspetti legati alla sicurezza e molti altri.
In Italia negli scorsi anni molte grandi aziende hanno lanciato sperimentazioni di Smart Working; il fatto che queste sperimentazioni non solo restino attive ma diventino sempre più diffuse e pervasive all’interno delle imprese è un evidente segno che, al di là di un effetto moda, queste portino benefici concreti alle aziende e alle persone.
Tra le persone maggiormente coinvolte in queste sperimentazioni vi sono coloro che lavorano nella funzione HR (72%), IT (67%) e Marketing (67%). In qualità di HR da anni io stessa usufruisco di questa possibilità con successo.
Tra i principali obiettivi dello Smart Working vi è quello di traghettare le organizzazioni verso una cultura del lavoro meno legata al presenzialismo e più volta al risultato, ovvero una Result Based Organization. Tale passaggio richiede di lavorare sui sistemi di valutazione delle performance, sugli stili manageriali e sui comportamenti delle persone sviluppando la capacità di definire obiettivi, monitorare il raggiungimento in continuo attraverso indicatori oggettivi e misurare se stessi e i propri collaboratori sulla base dei risultati. E’ una sfida non indifferente poiché intende sostituire il concetto di controllo del lavoratore con quello di fiducia ed introdurre una politica meritocratica basata su obiettivi concreti.
Ad oggi non solo grandi aziende come Axa Italia, Costa Crociere, Benetton e molte altre aderiscono a questa filosofia ma anche sempre più PMI e la Pubblica Amministrazione. Chiaro che la disponibilità di tecnologie digitali e lo sviluppo di competenze digitali nei singoli lavoratori sono condizione necessaria per la fattibilità di tutto ciò.
L’argomento Smart Working è estremamente vasto. Oltre la definizione, le sfaccettature e implicazioni sono innumerevoli. A partire da quali trasformazioni dovrà fare la direzione HR per diffondere la cultura e valutare le performance fino ad arrivare alla quantificazione dei benefici per l’azienda (miglioramento della produttività, riduzione dell’assenteismo, riduzione dei costi per gli spazi fisici).
Ma gli effetti non interessano solo l’azienda; riguardano ognuno di noi inteso come persona che lavora (miglioramento del work-life balance, aumento della soddisfazione) e non in ultimo l’ambiente (riduzione delle emissioni di CO2, di traffico e inquinamento).
E tu cosa ne pensi dello Smart Working?